Una recente decisione della Corte di Cassazione (Cass. Civ. 7969/2017) ha chiarito una questione spesso dibattuta in relazione al rapporto tra divieto di soppressione del marchio del produttore e il diritto del produttore a non far apparire il proprio nome su determinati prodotti.
Nel caso in oggetto la società (Alfa), titolare di un brevetto relativo al trattamento anti odore per tessuti, aveva concesso ad un’altra impresa (beta) il diritto all’uso di tale trattamento sui suoi prodotti concedendo anche contestuale licenza d’uso del marchio utilizzato dalla prima per identificare il trattamento.
La società Beta tuttavia facendosi forza sulla normativa che vieta la soppressione del marchio del produttore (Art. 20 co. 3 Codice Proprietà Industriale) vantava il diritto di apporre sul proprio prodotto il riferimento al nome aziendale di Alfa (marchio molto noto) e non solo il marchio del prodotto, come invece era stato stabilito in sede contrattuale.
I giudici di merito e la Corte di Cassazione avendo rilevato che l’utilizzo fatto da Beta dei marchi istituzionali dell’impresa Alfa non era da considerarsi meramente descrittivo, valutando questa modalità d’uso come parassitaria, ha stabilito che l’unico marchio legittimamente utilizzabile sul prodotto dalla società Beta è quello previsto in sede contrattuale e quindi nega alla società Beta di usare il marchio istituzionale dell’impresa che produce il trattamento oggetto di licenza.
Sulla base di quanto sopra si può dedurre il principio di divieto di soppressione del logo del produttore di cui all’art. 20 co. 3 CPI non implica che la licenziataria possa utilizzare qualsiasi riferimento all’impresa produttrice. I limiti di utilizzo dei marchi sono infatti oggetto di disponibilità contrattuale tra le parti.